Talentuoso e dannato, se c’è un couturier di cui valga la pena approfondire la storia è Yves Saint Laurent. Il suo essere genio e sregolatezza fa sì che visitare il Museo a lui dedicato, dove ha speso più di 30 anni della sua carriera sia, prima di tutto, una grande emozione. Sì, non so descriverla se non in questi termini. Emozionata di varcare la soglia del Musée Yves Saint Laurent al numero 5 di Avenue Marceau, a due passi dal tristemente famoso tunnel de l’Alma (ma questa è un’altra storia).
Così scrive Sofia Gnoli nel suo “MODA. Dalla nascita della haute couture a oggi” (nuova edizione):
Il mio più grande rimpianto, si crucciava Yves Saint Laurent, è quello di non aver inventato i jeans. In compenso comprese l’importanza dello stile sopra la moda. Sostituì la distinzione con la giovinezza. Sublimò il cross-dressing. Coniugò più di ogni altro, la haute couture con lo street style. L’arte con la moda. Fece uscire le donne dai castelli e dagli harem, dai sobborghi e dalle periferie e, in un batter d’ali, sedusse il mondo. (Gnoli, 2008b, p.153)
Il tessuto prima dell’abito
Il Museo YSL ospita una parte della collezione Laurent e mostre tematiche che si alternano a scandire un palinsesto ricco e vivo. La mostra attuale “Yves Saint Laurent. Les coulisses de la haute couture à Lyon (i retroscena dell’alta moda a Lione)” è dedicata ai tessuti provenienti dagli atelier di Lione, che hanno contribuito a rendere grandi le creazioni di Yves Saint Laurent. Lo so cosa state pensando. I tessuti possono essere così rilevanti da conquistare lo spazio di un’intera mostra? La risposta è sì. “Fondamentali” è il termine giusto, dal momento che Yves partiva dal tessuto per poter immaginare un abito la cui resa fosse esaltata proprio da quelle trame sinuose e preziose, o ruvide e rigide.
In pratica Yves immaginava i suoi abiti sulla base dei tessuti che ordinava e che poteva avere a disposizione. Nel percorso museale si vedono i bozzetti originari di alcuni abiti e una dettagliata catalogazione per tessuto e per colore. Basta già solo questo a farci dire “da qui non voglio uscire mai più”.
Parigi chiama, Lione risponde
Nata dalla collaborazione tra il Museo YSL e il Museo dei tessuti di Lione, la mostra racconta della fruttuosa collaborazione tra il genio YSL e le aziende tessili di Lione durata oltre 40 anni. Il celebre couturier “era in grado di disegnare un abito ad occhi chiusi per quanto conoscesse approfonditamente i tessuti”. La mostra è organizzata intorno a 7 aziende tessili di Lione sulle quali YSL poteva contare per la realizzazione dei suoi abiti: taffetà, mussola, crepe e velluto. Praticamente un omaggio alle competenze tessili dell’intera regione lionnese.
L’aspetto tecnico dei tessuti e quello creativo del design non si contrastano ma piuttosto combaciano, rinforzandosi l’un l’altro. Come quando utilizza il velluto per gli smoking presentati nella collezione del 1967 trasformando l’uniforme maschile per eccellenza in un’insospettabile (fino ad allora) arma di seduzione femminile. O come nel 1968 fa gridare allo scandalo, uno dei tanti, con il nude look grazie all’abito di chiffon completamente trasparente sul seno.
Yves Saint Laurent felt that fabrics are the basis of everything; the fabrics
determine the idea, the line. If I use them in the wrong way, my designs are a
failure and I have to abandon them. Choosing them is one of the most important
steps in the creative process, the thing that requires the most concentration and that
also brings the utmost joy. (Le Figaro, 1979)
Lo studio di Yves Saint Laurent @5 Avenue Marceau
Nel 1974 Yves Saint Laurent si trasferì in quello che oggi è il Museo YSL di Parigi, al numero 5 di Avenue Marceau dove restò per quasi 30 anni della sua carriera di couturier. Se ai piani bassi i clienti venivano accolti dai commerciali per effettuare gli ordini, in quello che è oggi l’ultimo piano visitabile Yves lavorava nel suo studio, attorniato da 6-7 collaboratori, mentre circa 200 sarti erano all’opera nelle altre sale. Cosa si prova ad entrare nel suo studio? Si percepisce un’aura quasi sacrale che permane ancora oggi. Le pareti e tende bianche, e il silenzio ovattano tutta l’atmosfera. Un ambiente intimo, luminoso e tranquillo che rappresenta il luogo perfetto in cui Yves Saint Laurent creava i suoi capolavori.
Yves Saint Laurent, un talento troppo giovane
21 anni, ricordate questa età. Yves era un talento puro, dai disegni delle paper doll ad Oran sulla costa algerina in cui era nato, alla vittoria del terzo premio del concorso Woolmark Prize a 17 anni, a quando nel 1954 (accanto ad un altrettanto giovane Karl Lagerfeld) vince il primo premio dello stesso concorso. Sotto l’ala protettrice del direttore di Vogue Paris viene mandato a fare il colloquio da Christian Dior che lo assume su due piedi. Era chiaro che le sue capacità artistiche lo avrebbero portato lontano.
Bello questo aneddoto che riporto qui dal testo di Sofia Gnoli sopra citato:
Nel 1955 Yves Saint Laurent si ripresentò a de Brunhoff, direttore dell’edizione francese di Vogue, con 50 schizzi. “Il giovane Saint Laurent è arrivato ieri”, scrisse de Brunhoff in una lettera a Edmonde Charles-Roux (1986, p. 9): “con mia sorpresa, su cinquanta disegni che mi ha portato, almeno venti potrebbero essere stati fatti da Dior. In tutta la mia vita non ho mai incontrato nessuno così dotato per la moda. Ho chiesto subito a Dior di riceverlo, anche se sapevo che era in piena collezione […]. Se il nostro giovane sconosciuto un giorno sarà famoso pensa a me“
Anni cruciali, il successo e poi il buio
Aveva solo 21 anni quando gli viene affidata la direzione artistica della Maison Dior, all’indomani della scomparsa di Christian Dior nel 1957. Tutto sembra girare per il verso giusto. Il suo esordio sulle passerelle è un trionfo, di lì a poco incontra Pierre Bergé che diventa il suo compagno di vita e partner negli affari. Ma aveva solo 21 anni e quando lo spirito creativo inizia a farsi sentire e a fare di testa sua le cose si mettono male. Lo star system della moda gli esplode in mano. Con la collezione Beat del 1960 spariglia le carte, le giovani generazioni diventano protagoniste, ma la clientela devota allo stile classico Dior non apprezza, e Yves viene licenziato. Il buio. Arruolato in guerra non regge l’addestramento e il bullismo che già aveva conosciuto da ragazzino ed entra in depressione.
YSL, lo stilista diventa star
Non racconterò tutti i passaggi della carriera di YSL, che sappiamo essere stata costellata da tantissimi picchi e cadute, ma il numero 21 mi è davvero rimasto in mente. Corrisponde agli anni che aveva quando inizia la sua carriera, e se dopo ritroviamo un Saint Laurent in preda all’alcol e alle droghe lo dobbiamo certamente all’ambiente e al momento storico in cui ha vissuto, ma anche ad una sua intrinseca debolezza che forse deriva proprio dalla sua giovane età.
Su YSL sono stati scritti numerosi libri e forse anche voi avrete visto la pellicola a lui dedicata di cui trovate qui sopra il trailer. Quello che è certo è che con Yves lo stilista diventa una vera e propria star, la sua vita privata si interseca con quella professionale. Nasce il personaggio pubblico che fa parlare di sé. Si circonda di personaggi del jet set che spesso ospita nella sua villa a Marrakech dove fa grosso uso di droghe e sostanze stupefacenti.
Sempre più personaggio appare nudo con i suoi grandi occhiali da vista in una posa da statua greca nel 1971 per la campagna pubblicitaria del suo profumo da uomo, ritratto dal fotografo francese di origine polacca, Jeanloup Sieff. Per la prima volta uno stilista posava per promuovere un suo profumo e quell’immagine segnò la storia della pubblicità.
Saint Laurent + Bergé, due di uno
“La storia del marchio Yves Saint Laurent è la storia di due persone, Pierre ed Yves, non di una sola. Una storia che ha come sottotesto una fortissima dipendenza reciproca, al limite della tollerabilità, ma che viene da sempre veicolata come una delle più grandi relazioni di amore e di lavoro della storia della moda” scrive Andrea Batilla nel suo “Instant Moda“. Sarà Pierre Bergé a tirarlo fuori dalla depressione del manicomio militare in cui era finito, a fare causa a Dior per ingiusto licenziamento, e infine con i soldi ricevuti dalla causa e a quelli di un ricco investitore americano, a mettere in piedi il brand Saint Laurent, in cui Yves finalmente avrebbe potuto esprimere la sua creatività senza ostacoli.
“C’era bisogno di qualcuno che raccogliesse le istanze di cambiamento che venivano dalle subculture e le portasse nei chiusi atelier della haute couture facendo una rivoluzione dall’interno. Arrivano il primo caban da marinaio trasformato in cappotto, l’uso della pelle nera con evidenti riferimenti ai rockers, il trench in vinile e i famosissimi abiti ispirati a Mondrian. La strada entra per la prima volta con prepotenza nei chiusi salotti della couture e la moda impara ad affondare le radici nelle culture giovanili”. Così Batilla spiega la rivoluzione Saint Laurent. E ancora “YSL ha avuto il merito di assottigliare il divario tra l’haute couture e la strada, mettendo il buon gusto borghese a disposizione di una fetta di popolazione sempre più larga, che cercava abiti che rappresentassero il mondo che stava cambiando e che non costassero una follia”.
Se noi oggi abbiamo nel nostro armadio un chiodo di pelle lo dobbiamo anche ad Yves! 😉
Musée Yves Saint Laurent Paris
5 avenue Marceau
75116 Paris – France
+33 (0)1 44 31 64 00
contact@museeyslparis.com
Non avrei potuto scrivere questo articolo senza i preziosi riferimenti bibliografici di:
Andrea Batilla, Instant Moda, Gribaudo, p.154, 155, 156.
Sofia Gnoli, MODA. Dalla nascita della haute couture ad oggi (nuova edizione), Carocci editore, p. 248, 249.
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